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L’essenza dei ricordi

L’essenza dei ricordi

L’essenza dei ricordi

I ricordi servono a farci rifiorire. Ogni giorno, prendendo la metropolitana da San Giovanni, guardando i vagoni sfrecciarle davanti velocissimi, Benedetta ripensava alla frase che sua nonna le ripeteva da piccola prima di farla addormentare. “A cosa servono i ricordi?”, chiedeva. “A farci rifiorire”, rispondeva la nonna. Benedetta immaginava il corpo magro e rugoso della sua nonnina trasformarsi in un sinuoso gambo di rosa e la sua chioma bianca e vaporosa aprirsi come un bocciolo rosso rubino, e le veniva da ridere. “Ti fa ridere?”, le diceva col sorriso. “Quando i ricordi fan ridere, vol dì che son belli”. Era il loro piccolo rituale, il loro momento di intimità. Dopo la doccia, infilava una canottiera e sgusciava sotto le lenzuola, aspettando che la nonna entrasse in camera a raccontarle una storia per farla addormentare. Non erano favole ma ricordi d’infanzia, eppure surreali lo stesso, con bambini che correvano scalzi e mangiavano pezzi di pane rannicchiati in grotte nascoste tra gli scogli, che collezionavano conchiglie, ricci di mare e coralli, che dormivano all’ombra di una pineta, che avevano un coniglio per amico, o una capretta, bambini che la notte si addormentavano contando le stelle. Erano “i ricordi del mare di nonna”, della sua vita all’Isola d’Elba, prima che il nonno arrivasse da Roma per una vacanza e la portasse via, ancora adolescente, per sposarla. Benedetta non era mai stata sull’isola ma la sognava spesso, fin da bambina. Sognava di correre anche lei scalza sulla sabbia bollente senza vestiti né orari, una piccola selvaggia in simbiosi con la natura, circondata da animali parlanti. L’Isola d’Elba era il suo scrigno magico, la fiaba segreta, il luogo dove nella sua mente succedevano solo cose belle, ed è lì che scappava ogni volta che l’atmosfera al Ministero degli Esteri, per cui lavorava, si faceva pesante e le scadenze incombenti. “Papà, quando andiamo sull’isola?”, chiedeva da piccola. “Presto, ti prometto che presto ci andremo”, rispondeva lui. Non succedeva mai. Lavoravano tanto, i suoi genitori, avevano un negozio e non amavano viaggiare. Quando Benedetta compì 18 anni cominciò a girare l’Europa e dopo la laurea si concesse un viaggio a New York. Ogni estate pensava all’isola ma, per un motivo o per l’altro, il momento giusto per andarci non arrivava mai, per i suoi amici c’era sempre un viaggio più esotico da fare, e l’Elba ormai era diventata per lei un luogo dell’anima, il simbolo di una vita ideale, lontana dalla durezza di Roma. Forse, si chiedeva, a mancarle era il coraggio. A frenarla era la paura di rimanere delusa. E se quel posto non fosse stato poi così come l’aveva immaginato? Che ne sarebbe stato dei suoi ricordi, della sua magica via di fuga? Tra le spiagge finissime e le acque dai mille colori dell’Isola d’Elba ogni cosa brillava di sfumature pastello e profumava di antico e genuino, di sua nonna in primis, che ormai non c’era più, e non poteva perdere quel tesoro. Un po’ le dispiaceva che quei ricordi restassero cristallizzati come sogni, e un po’ tutta quella malinconia le faceva compagnia, la aiutava. Era la sua favola della buonanotte. Scese alla fermata di Piazza di Spagna. Era una giornata di sole caldo, uno di quei giorni di maggio in cui Roma sembra il centro del mondo. Aveva appuntamento in un bar di via Del Corso con la segretaria dell’ambasciatore del Senegal, che sarebbe arrivato in città a fine mese. Un incontro importante, da programmare nei dettagli, la aspettavano settimane impegnative. Non prendeva volentieri appuntamenti in centro ma la responsabile della segreteria alloggiava al San Carlo e aveva insistito. Benedetta era in anticipo, come sempre, e poteva permettersi di camminare con calma, dando anche un’occhiata ai negozi. Un lusso, per lei, che da dopo il diploma aveva quasi sempre solo studiato e lavorato. A un tratto, lungo via Frattina, una luce color verde acqua catturò la sua attenzione. E poi una scritta, “Acqua dell’Elba”. Incredibile. La sua favola della buonanotte ora le dava il buongiorno. Entrò e quella luce di mare le riempì gli occhi, mentre un’essenza di ginepro e corbezzolo le avvolgeva i sensi. Viveva a Roma da che era nata e non conosceva né quel negozio né quel marchio. Aveva davvero lavorato troppo, si era concessa così poco. “Scusi..?”, chiese timidamente alla ragazza dietro al bancone. “Posso dare un’occhiata?”. “Molto volentieri”, rispose con un sorriso l’altra. Tutto, in quello spazio, parlava la lingua segreta che per anni aveva condiviso con sua nonna prima di addormentarsi e ogni cosa era avvolta dall’essenza, inebriante, di una natura selvatica e mediterranea, valorizzata da giochi di luce sobri e brillanti al tempo stesso. Il colore dominante era il verde acqua, una pace per lo sguardo. Il negozio vendeva profumi, elegantemente confezionati e disposti in piccole nicchie, come gemme preziose. Quel luogo, per qualche ragione, le ricordava davvero sua nonna, aveva la sua stessa eleganza. Benedetta si commosse. La sua isola esisteva davvero. Quella ragazza dietro al bancone non poteva saperlo, ma tra quelle boccette custodiva un pezzo della sua vita, il più importante. Provò una delle fragranze e si sentì rifiorire. Il suo corpo era lo stelo, i suoi capelli i petali. Anche lei, come sua nonna, camminava scalza verso il mare, in cerca di conchiglie, anche lei dormiva tra le rocce, anche lei ascoltava in silenzio la natura vibrare, in totale simbiosi con alberi, animali, animali, sapori, fragranze. Quell’essenza color verde acqua dava finalmente voce ai suoi pensieri di libertà, una libertà semplice, interiore, fatta di quei piaceri antichi che per venticinque anni aveva rincorso senza mai davvero sfiorare. Fu allora che Benedetta capì. “Dove vengono fatti i profumi?”, chiese. “A Marciana Marina, sull’Isola d’Elba, in modo artigianale”, risposte la ragazza. È lì che avrebbe trascorso le sue vacanze, quell’estate. Comprò una confezione di acqua di profumo “Arcipelago donna” e uscì dal negozio col sorriso, come non le accadeva da tempo. Mancavano pochi minuti all’appuntamento e, nonostante la responsabilità che l’attendeva, si sentiva piena di vigore. Rifiorita. Prese il telefono e chiamò la sua migliore amica. A giugno sarebbero andate a Marciana Marina, sulle tracce di un sogno. Di un passato che non era il suo ma che le apparteneva, più di ogni altra cosa. 


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