La sua squadra del cuore aveva perso di nuovo. Ogni tanto si domandava che senso avesse tifare per un club così piccolo, di una città di provincia, che non avrebbe mai avuto i giusti sponsor e non sarebbe mai salito in A. Le sue domeniche erano scandite da una ritualità che però lo entusiasmava e forse era proprio questo il motivo per cui amava così tanto il calcio. Prepararsi per arrivare allo stadio con gli amici, oppure organizzare insieme una trasferta in pullman verso la città avversaria e, prima di partire, fermarsi al forno a prendere panini con prosciutto e mortadella per tutti. Il tragitto verso il luogo della partita era la parte più divertente ma spesso non lo era altrettanto il ritorno, segnato amaramente dalla sconfitta. C'era però in questa routine una costante che non cambiava mai ed era sempre positiva: la cena a casa di nonna Celeste. Che la squadra vincesse o perdesse, quella casa che lo aveva visto barcollare da piccolo tra i primi passi incerti e che lo vedeva ora uomo fatto, un ragazzone di 1,80 m, varcare la soglia togliendosi la sciarpa da tifoso con aria mesta, quel nido lo accoglieva sempre con lo stesso identico amore.

Tra quelle mura lui non era Alberto, l'ultras sfortunato, l'assicuratore bravo a far firmare le polizze, il fidanzato fedele, ma semplicemente Albertino, un nipote, il più amato, al quale far trovare un piatto di tortellini caldi in inverno o uno spaghetto col pesto fresco in estate. I piatti che preparava nonna Celeste erano sempre squisiti, semplicissimi, ma di una bontà capace di fargli dimenticare l'esito infausto della giornata. Si sedeva a quella tavola e riconosceva gli odori che amava, i capisaldi della sua vita, sentendosi improvvisamente meglio. Nell'aria c'era sempre un che d'infanzia, e i ricordi si susseguivano tra una forchettata di pasta e un racconto della partita, che Celeste ascoltava con vero interesse, seduta di fronte a lui con le mani intrecciate e il sorriso. Mancavano pochi giorni a Natale e Alberto in poche settimane aveva collezionato già diverse delusioni, la squadra continuava a perdere e c'era solo da augurarsi che non andasse in zona retrocessione.

Che belle feste avrebbe passato! Lui e i suoi amici si sarebbero trovati al bar a discutere degli errori fatti dalla società, dall'allenatore e dai giocatori, ben sapendo in cuor loro che era una battaglia persa. Sua nonna stava poco bene in quei giorni, aveva preso una brutta influenza e il medico le aveva raccomandato di rimanere a casa e strapazzarsi il meno possibile. Senza di lei il Natale sarebbe stato ancora più triste, e fu proprio quel giorno, di ritorno dall'ennesima partita andata male, salendo le scale di quella casa, che davanti alla porta gli venne voglia di farle un regalo. La badante aprì sorridendo e portandosi un dito alla bocca - “Non svegliarla, dorme, oggi era molto stanca” - ma nonostante la malattia il brodo dei tortellini era stato preparato e bolliva sul fornello. Gli occhi di Alberto si riempirono di lacrime, guardò la donna e le strinse le spalle: “Aspettami qui che torno subito”, disse. Uscì di casa e scese le scale correndo, sapeva dove doveva andare. C'era una profumeria in centro che vendeva manufatti Acqua dell'Elba, capaci di raccogliere il profumo del mare. In pochi lo sapevano ma sua nonna si chiamava Celeste perché era nata in spiaggia, partorita in condizioni di fortuna durante una vacanza. Quel giorno l'acqua era limpida, talmente tanto da confondersi col cielo. Sua nonna raccontava sempre quella storia ad Albertino: “Sono nata col profumo del mare tra i capelli, l'acqua è il mio elemento”.

Purtroppo la loro città era lontana dal mare, vivevano nell'entroterra, ma Alberto ricordava che da piccolo, durante le vacanze, era sempre sua nonna ad accompagnarlo in acqua, agile e disinvolta tra le onde, felice di trovarsi lì almeno quanto lui. Dopo neanche mezz'ora era di nuovo sulla soglia di casa. Bussò e la badante aprì: “È arrivato Albertino signora, se la sente di alzarsi?”, disse ad alta voce. “Lasci stare, vado io”, rispose lui. Nonna Celeste era sdraiata e guardava il soffitto, aveva la pelle bianca e gli occhi acquosi, le mani leggermente tremanti. Alberto mise una mano sulla sua fronte che scottava e toccò le sue dita gelate: “Nonna non fare sforzi, resterò con te questa sera a farti compagnia, va bene?”. Lei lo guardò e sorrise, farfugliò qualcosa. Era il momento di darle il regalo: mancavano ancora dei giorni al 25 dicembre ma quello sarebbe stato il loro Natale. Poi Celeste sgranò gli occhi: che cosa stava facendo suo nipote Albertino? Cos'era quella scatola che aveva messo sul comò davanti al letto? Albertino tirò fuori un profumatore per ambiente Acqua dell'Elba Mare, un elegante flacone di vetro color verde acqua, e dispose all'interno i bastoncini di legno diffusori. Subito la stanza si riempì dell'odore del mare.

Celeste si tirò sui gomiti, era senza parole ma si sentiva già molto meglio. Quelle note di limone, rosmarino e giglio di mare la riempivano di vitalità. “È questo l'odore che hanno sentito i tuoi genitori quando sei nata, nonna, sono questi i primi profumi che hai respirato anche tu”. Nonna Celeste lo guardò e sorrise, col suo sorriso buono di sempre, e gli occhi le si riempirono di luce. Restarono così sospesi in quel ricordo per qualche istante o qualche minuto, aggrappati a una felicità impossibile da quantificare. Tutto comincia e tutto finisce, pensò Alberto, ma questo Natale tutto nostro non ce lo dimenticheremo mai. 

 

Il racconto “Un mare d’amore è stato scritto da Sara Ficocelli, scrittrice e giornalista per Acqua dell’Elba





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