Sorriso smagliante, atteggiamento spavaldo, sigaretta elettronica sempre accesa: ormai Rachele i clienti rompiscatole aveva imparato a riconoscerli, tanto che i colleghi, scherzando, le dicevano che aveva “il dono”. “Rachele, va’ a dare un’occhiata, mi sa che questo è uno dei tuoi…”, le aveva sussurrato il capo indicandole il ragazzo in giacca blu intento a sbirciare gli interni di un fuoristrada ultimo modello. Erano quindici anni che lavorava in concessionaria e ne aveva incontrati tanti. Entravano in negozio con la stessa aria baldanzosa, a tratti nevrotica, come se dall’acquisto di un’auto da cinquantamila euro dipendesse la loro felicità. Quella mattina Rachele di avere a che fare con “uno dei suoi” non aveva voglia. C’era stata l’ennesima discussione con Ilaria e stavolta sentiva che c’era aria di rottura. Era stanca di non riuscire a comunicare con lei. I “pantani”, come ripeteva a suo marito, la innervosivano, e quello con l’Ilaria era diventato proprio questo: un pantano. 

 

Tutto era cominciato l’estate prima, durante una vacanza - una delle tante - all’isola d’Elba. Sdraiate in spiaggia a godersi il sole, aspettavano che i mariti tornassero dalla nuotata a largo che spesso facevano il sabato mattina. Il mare quel giorno era una tavola, anzi una tavolozza, tanto l’acqua era meravigliosa nelle sue mille sfumature di luce. Poi Ilaria aveva spezzato il silenzio. “Ho una relazione. Da qualche mese. Volevo dirtelo prima ma non avevo il coraggio”. Rachele aveva girato la testa verso l’amica, sfiorando con la guancia l’asciugamano riscaldato dal sole. Stessi capelli rossi, stesso neo dietro l’orecchio, stesso naso dritto, stesse lentiggini. Era sempre lei, l’Ilaria, l’amica di una vita, la ragazza che tutti scambiavano per irlandese e che si divertiva a rispondere in varesotto quando le chiedevano “Where are you from?”. Eppure, Rachele ne era sicura, quella sdraiata sulla spiaggia di Procchio accanto a lei era un’estranea. “Cosa?!”, aveva detto coprendosi gli occhi con una mano. “Conosco Gianni da vent’anni, è uno dei miei migliori amici…cosa stai dicendo?!”. Ilaria non aveva risposto, era rimasta immobile. Poi, sempre senza girarsi a guardarla, aveva abbozzato un sorriso. “Sapevo che non avresti capito. Ami troppo la perfezione, tu. Non ti piacciono le sorprese”, aveva detto amareggiata. Col senno di poi, a Rachele aveva forse dato più fastidio quella frase dell’intera faccenda. 

 

Aveva sostenuto Ilaria nei momenti più cupi, le era stata vicina anche quando era scappata di casa per una settimana dopo il divorzio dei genitori. Era sempre stata una ribelle e Rachele accettava - e anzi addirittura amava - questa parte di lei, indomabile e sorprendente, come i suoi capelli rossi. Con che coraggio ora le rivolgeva quelle parole? Come avrebbe potuto guardare Gianni in faccia quella mattina e le altre a venire, fingendo che andasse tutto bene? L'aveva messa nella situazione più scomoda e insopportabile e si era resa conto, in quel momento, di detestarla per questo. La vacanza era continuata senza scossoni ma Rachele aveva vissuto gli ultimi giorni come in uno stato di trance, promettendosi che prima o poi avrebbe perdonato. Ma non era mai successo. Di raccontare tutto a Ettore non le era mai passato per la testa e tantomeno di rivelare qualcosa a Gianni. Era una persona leale e anche per questo non sopportava i furbi. Quel giorno avrebbe tanto voluto essere lasciata in pace a rimuginare sull'ennesimo invano tentativo di far ragionare l’amica, intenzionata a portare avanti la relazione e a lasciare il marito, ma le toccava avere a che fare con “uno dei suoi”. 

 

“Buongiorno, posso parlare con lei per quello splendido bestione grigio là fuori?”. Il ragazzo con la giacca azzurra aveva un sorriso sfidante, l'espressione di chi è intenzionato a ricevere tutte le attenzioni possibili. Rachele lo aveva fatto accomodare e, senza troppi sorrisi, aveva acceso il computer e cominciato a elencargli le proprietà della macchina. “Non serve, so già tutto”, l’aveva interrotta lui. “In realtà sono qui per chiedervi quanto costa e quando posso avere le chiavi. Ho già deciso, lo prendo”. Lei lo aveva guardato senza entusiasmo. “Bene, sono felice. Allora vediamo…”, aveva detto. Lui a quel punto si era messo comodo, aveva accavallato le gambe e portato alla bocca una sigaretta elettronica, riempiendo la stanza dell’inconfondibile odore di quegli oggetti tanto di moda. “Abbia pazienza, ma qui non si fuma”, gli aveva intimato lei con un sorriso infastidito. “Ah no?”, aveva risposto il ragazzo accigliato. “E mi dica, seguite un protocollo per rendere la vita impossibile al cliente, specialmente se è uno che compra e non fa storie, o siete solo bravi a improvvisare?”. Rachele a quel punto aveva alzato gli occhi e lo aveva fissato, inebetita. Aveva ragione lui. Si stava comportando male. Sleale col cliente e col suo capo. Stava trascinando in ufficio i suoi problemi, e questo sì che era un errore. 

 

“Mi scusi, è che oggi sono di cattivo umore. Lei ovviamente non c’entra”, aveva detto abbassando lo sguardo. Il ragazzo era rimasto in silenzio, spegnendo la sigaretta. “Ora le apro una pratica e cerchiamo di trattarla nel migliore dei modi”, aveva aggiunto. “La capisco perfettamente, sa”, aveva detto lui dopo qualche secondo. Mettendo per terra la gamba accavallata, si era stirato i pantaloni con le mani. “Vede, due anni fa mia moglie voleva lasciarmi. Avevamo un bambino piccolo e lei di colpo mi disse che voleva tornare dai suoi. Fu un colpo durissimo, il peggiore della mia vita. Lavoro per una multinazionale, ero un giovane promettente in ascesa, ma cominciai ad andare in ufficio arrabbiato, come se la colpa di quel fallimento fosse dei miei colleghi, e non mia”. “Sua..?”, chiese Rachele. “Di sua moglie, vorrà dire”. Il ragazzo l’aveva guardata sorridendo. “No, mia. E se oggi mi trovo qui è perché l’ho capito. Lo vede quel bestione grigio scuro? Sa perché voglio comprarlo a scatola chiusa? Perché l’unico desiderio di mia moglie era quello di avere una macchina grande per fare dei piccoli viaggi in montagna, io lei e il bambino. Sa, quelle cose che decidi un giorno per l’altro. Le escursioni, la natura. Eravamo sposati da cinque anni, e in tutto quel tempo non le avevo mai concesso una cosa del genere. Mai. Pensavo solo al lavoro. Non a lei e a nostro figlio. Al lavoro”. Rachele lo fissava, senza parole ma con la testa piena di pensieri. “E com’è finita?”, chiese. “E’ finita che abbiamo parlato, io mi sono cosparso il capo di cenere e siamo tornati più uniti di prima. Non saremo la coppia del Mulino Bianco ma ci amiamo ancora moltissimo”. 

 

Rachele fece un respiro e spense il computer. Quel ragazzo non era “uno dei suoi”. E chissà quanti, tra quelli che aveva creduto di riconoscere negli anni, non lo erano. “E quindi, lei che è così saggio e in vena di confidenze, che mi dice di un’amica che tradisce il marito, se il marito è anche un grande amico della qui presente? Come dovrei comportarmi? Perdonare e comprarle un fuoristrada?”. Il ragazzo la fissava con attenzione. “Mi ha raccontato tutto durante una vacanza al mare. Io lei, mio marito e il suo. Se lo immagina?”. “Al mare dove?”, aveva chiesto lui. “Isola d’Elba. Il posto più bello del mondo. Ci andiamo tutte le estati. Andavamo, anzi”, aveva risposto cupamente Rachele, tornando a guardare il computer. Il ragazzo lasciò quella confidenza sospesa, senza aggiungere altro. “Fatemi avere un preventivo, il mio indirizzo email è questo”, disse alzandosi e porgendole un biglietto da visita. Poi salutò e uscì dalla stanza. Rachele era rimasta a fissare la porta chiusa provando un vago senso di delusione, poi si era rimessa a lavorare. 

 

Due giorni dopo, poco prima di chiudere tutto per tornare a casa, un corriere era entrato in negozio. “C’è un pacco per la signora Rachele Raffagli”, aveva detto. Stupita, si era alzata ed era andata a ritirare una piccola scatola di cartone. Agitandola, si capiva che dentro c’era qualcosa di solido, pesante. Mise il pacco sulla scrivania, tagliò lo scotch con un tagliacarte e tirò fuori una splendida confezione color verde acqua. Acqua di profumo Acqua dell’Elba. Quella fragranza buonissima che un paio di volte Ettore le aveva anche regalato a Natale. Nella scatola c’era un bigliettino. “Perdonare è fondamentale. Le persone che amiamo a volte ci deludono, ma la domanda è: siamo disposte ad amare anche i loro difetti? Ah, dimenticavo: questa bottiglietta non è per lei, ma per la sua amica. È il fuoristrada che vi riporterà di nuovo in vacanza insieme. Un caro saluto. Firmato: uno che ha avuto una seconda possibilità”. Rachele posò il cartoncino e fissò il muro. In fondo, se Ilaria non amava più Gianni non poteva farci niente. Magari, pensò, la sua amica ora aveva davvero bisogno di una mano. E se stava facendo un errore, fosse anche il più grande della sua vita, non stava a lei giudicare. Doveva solo starle vicino, come aveva sempre fatto. “Posso uscire un’ora prima?”, aveva chiesto al capo. “Devo portare un regalo a un’amica che non vedo da un po’. Ah, e quel cliente che è venuto l’altro giorno, per il fuoristrada grigio… La sua pratica la seguo io, se non vi dispiace. Mi sa che gli devo un favore”.





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